martedì 26 gennaio 2010

La dieta mediterranea a basso IG (e MUFA alto) è preferibile alla dieta Med tradizionale

Vi sono numerosi studi recenti che mettono in evidenza i vantaggi delle diete con un basso indice glicemico. Il seguente articolo descrive uno studio effettuato confrontando una dieta mediterranea a basso contenuto di carboidrati detta dieta LCM (Low Carbohydrate Mediterranean) con una dieta mediterranea standard e una dieta dell' Associazione Diabetica Americana. Lo studio ha coinvolto 259 pazienti diabetici per un periodo di 12 mesi.

Le diete:

carboidrati
grassi
proteine
fibre
ADA
50-55 %
30 %
20 %
15 g
MED
50-55 %  (basso IG)
30 % (alto livello di grassi monoinsaturi)
15-20 %
30 g
LCM
35 %
(basso IG)

45 %(alto livello di grassi monoinsaturi)
15-20 %
30 g

I risultati migliori, in termini di perdita di peso, sono stati ottenuti con  il basso GI nella dieta Mediterranea (LCM):
LCM = 10.1 kg
MED = 7.4 kg
ADA = 7,7 kg

La riduzione dell' HbA1C (una misura di controllo del glucosio) è risultata maggiore con la dieta LCM:
LCM = - 2,0 %
MED =-1.8 %
ADA = 1,6 %

Siero TG:
LCM = - 1.52 mmol/l
TM = -1.46
ADA =  - 0.88

Infine, si è verificato un aumento dell' HDL solo con la dieta LCM (da 1, 08 a 1.21 mmol/l)


In generale, con le diete mediterranee si ottengono risultati migliori, ed in particolare ritengo che la dieta mediterranea a basso indice glicemico sia sicuramente da preferire. È molto importante notare che il contenuto di MUFA riscontrato con la dieta LCM è molto più elevato rispetto a quello osservato con  la dieta ADA o con la dieta MED tradizionale:


MUFA
PUFA
Grassi saturi
ADA
10 % di grassi
12 % di grassi
7 %
MED
10 % di grassi
12% di grassi
7 %
LCM
23 % di grassi
15 % di grassi
7 %

Complessivamente I vantaggi della dieta sembrano essere dovuti a un livello superiore di fibra (presenti in entrambe le diete MED) e ai livelli più alti di grassi insaturi, in particolare dei MUFA. In questo caso credo sia erroneo fare riferimento a tale dieta come ad  una dieta mediterranea "Low Carbohydrate",  credo invece, nonostante possa sembrare meno trendy, che sia più appropriato definirla  “dieta mediterranea ad alta MUFA”.

L'abstract è riportato in basso e l’articolo è disponibile sul sito http://bit.ly/5TAoD8

A low carbohydrate Mediterranean diet improves cardiovascular risk factors and diabetes control among overweight patients with type 2 diabetes mellitus. A one-year prospective randomized intervention study
A. Elhayany 1,2 , A. Lustman 2,3 , R. Abel 2 , J. Attal-Singer 4,5 , S. Vinker 2,3
1 Meir Hospital, Kfar Saba, Israel 44821 2 Department of Family Medicine, Central District Clalit Health Services, Rishon Le Zion, Israel 3 Department of Family Medicine, Tel Aviv University, Tel Aviv, Israel 45 The Sackler School of Medicine, Tel Aviv University, Tel Aviv, Israel Endocrinology Institute, Rabin Medical Center, Beilinson Campus, Petah Tikva Israel

KEYWORDS Diabetes mellitus • cardiovascular risk • Mediterranean diet • dietary intervention

ABSTRACT

Background: The appropriate dietary intervention for overweight persons with type 2 diabetes mellitus (DM2) is unclear. Trials comparing the effectiveness of diets are frequently limited by short follow-up times and high dropout rates.

Aim: We compared the effects of a low carbohydrate Mediterranean (LCM), a traditional Mediterranean (TM), and the 2003 American Diabetic Association (ADA) diet, on health parameters during a twelve-month period.

Methods: In this twelve-month trial, we randomly assigned 259 overweight diabetic patients (mean age 55 years, mean body mass index 31.4 kg/m2) to one of the three diets. The primary end-points were reduction of fasting plasma glucose, HbA1c, and triglyceride levels.

Results: 194/259 patients (74.9%) completed follow-up. After 12 months, the mean weight loss for all patients was 8.3kg: 7.7 kg for ADA, 7.4 kg for TM and 10.1 kg for LCM diets. The reduction in HbA1c was significantly greater in the LCM than in the ADA diet (-2.0%, and -1.6%, respectively p<0.022). HDL cholesterol increased (0.1 mmol/l±0.02) only on the LCM (p<0.002). The reduction in serum triglyceride was greater in the LCM (-1.3 mmol/l) and TM (-1.5 mmol/l) than in the ADA (-0.7 mmol/l), p = 0.001.

Conclusions: An intensive 12-month dietary intervention, in a community-based setting was effective in improving most modifiable cardiovascular risk factors in all the dietary groups. Only the LCM improved HDL levels and was superior to both the ADA and TM in improving glycemic control.

martedì 19 gennaio 2010

Effetti della dieta priva di Glutine sulla microflora

L'articolo riportato in basso descrive uno studio fatto su 10 persone sane sottoposte per un mese ad una dieta senza glutine. Pur tenendo in considerazione gli effetti, gia`noti sulla microflora, causati dalla variazione dell` alimentazione, lo studio ha evidenziato una riduzione dell`attivita` di batteri buoni quali il Bifidobacterium ed il Lactobacillus. Probabilmente questa riduzione di attivita` va attribuita alla forte variazione nell`apporto di vitamine, minerali e fibra dovuta al mancato apporto di glutine. Ovviamente questi risultati devono essere confermati, dato il numero esiguo di pazienti su cui si basano. Possono, tuttavia, essere presi in considerazione nel trattamento di pazienti celiaci o di quelli che devono semplicemente ridurre l`apporto di glutine.


Per la traduzione dal inglese in italiano puoi usare www.microsofttranslator.com


link per l'abstract
Br J Nutr. 2009 Oct;102(8):1154-60. Epub 2009 May 18.
Effects of a gluten-free diet on gut microbiota and immune function in healthy adult human subjects.
De Palma G, Nadal I, Collado MC, Sanz Y

Diet influences the composition of the gut microbiota and host's health, particularly in patients suffering from food-related diseases. Coeliac disease (CD) is a permanent intolerance to cereal gluten proteins and the only therapy for the patients is to adhere to a life-long gluten-free diet (GFD). In the present preliminary study, the effects of a GFD on the composition and immune function of the gut microbiota were analysed in ten healthy subjects (mean age 30.3 years) over 1 month. Faecal microbiota was analysed by fluorescence in situ hybridisation (FISH) and quantitative PCR (qPCR). The ability of faecal bacteria to stimulate cytokine production by peripheral blood mononuclear cells (PBMC) was determined by ELISA. No significant differences in dietary intake were found before and after the GFD except for reductions (P = 0.001) in polysaccharides. Bifidobacterium, Clostridium lituseburense and Faecalibacterium prausnitzii proportions decreased (P = 0.007, P = 0.031 and P = 0.009, respectively) as a result of the GFD analysed by FISH. Bifidobacterium, Lactobacillus and Bifidobacterium longum counts decreased (P = 0.020, P = 0.001 and P = 0.017, respectively), while Enterobacteriaceae and Escherichia coli counts increased (P = 0.005 and P = 0.003) after the GFD assessed by qPCR. TNF-alpha, interferon-gamma, IL-10 and IL-8 production by PBMC stimulated with faecal samples was also reduced (P = 0.021, P = 0.037, P = 0.002 and P = 0.007, respectively) after the diet. Therefore, the GFD led to reductions in beneficial gut bacteria populations and the ability of faecal samples to stimulate the host's immunity. Thus, the GFD may constitute an environmental variable to be considered in treated CD patients for its possible effects on gut health.

lunedì 18 gennaio 2010

Che cos’è?

È l’era della genetica applicata alla nutrizione. Ognuno di noi è unico e ciò è dovuto ai nostri geni. Le differenze da individuo a individuo si manifestano sia esteriormente nel nostro aspetto fisico, come il colore dei capelli e degli occhi, sia internamente, ad esempio nella diversa capacità di metabolizzare i nutrienti o eliminare le tossine. E in ciascun gene vi sono punti di variazione: l’insieme di queste piccole variazioni (mutazioni) definisce la nostra individualità. «Conoscendo meglio l’effetto che i nutrienti hanno sulla nostra particolare costituzione genetica, possiamo esercitare un controllo più effettivo sulla qualità e le nostre aspettative di vita», dice Pier Giuseppe Pelicci, direttore dell’oncologia sperimentale dello Ieo di Milano. Le aziende biotech rispondono mettendo a punto i primi test genetici per «guidare» la nostra dieta. Uno è quello proposto da Eurogene. Il direttore scientifico, Keith Grimaldi, spiega: «È stato selezionato un gruppo di geni che determinano il modo in cui un individuo reagisce a certi nutrienti essenziali». A ognuno il suo menù.
Corriere Della Sera, 23/07/09
La nutrigenetica è lo studio di come la variazione genetica nei geni individuali influenza la risposta di un individuo a particolari nutrienti e tossine nella dieta. Aspira ad usare l’informazione genotipica di un individuo per determinare le proprietà delle proteine codificate da certi geni e in questo senso l’effetto sul metabolismo, trasporto ed assorbimento dei nutrienti nella dieta e l’effetto sull’eliminazione delle tossine. Una variazione genetica, p. es. uno SNP[1], può influenzare l’attività di un enzima che può influenzare il metabolismo di un nutriente come l’acido folico. Questo è esattamente analogo alla farmacogenetica dove la variazione in un gene influenza la velocità del metabolismo del farmaco.

Noi abbiamo linee guida standard del mangiar sano che sono basate su molti anni di prove scientifiche accumulate principalmente da studi epidemiologici e di intervento (e NON prove cliniche). Queste linee guida sono state sviluppate per aiutare a mantenere uno stile di vita salutare più a lungo possibile. Lo scopo della nutrigenetica è di essere capace di modificare le linee guida alimentari in accordo al genotipo e fenotipo individuale – anche la nutrigenetica è basato su molti anni di prove scientifiche accumulate principalmente da studi epidemiologici e di intervento. Il livello di prove per la nutrigenetica è almeno all’altezza di quello usato per sviluppare e giustificare le linee guida standard.

Propone l’uso dell’informazione genetica sia per la guida delle scelte alimentari e sia per informare gli individui circa l’importanza del alimentazione, del cibo e del metabolismo. La nutrigenetica ci mette in grado di usare il genotipo ed il fenotipo per migliorare la nostra conoscenza di come il cibo lavora insieme con il corpo. L’aspetto informativo di un servizio nutrigenetico è estremamente importante – gli scienziati lo usano e imparano da esso così perché non potrebbe il pubblico? Purché l’informazione sia fornita in un modo serio, responsabile e corretto allora il risultato sarà benefico per il paziente/consumatore.

Per sapere di più – info@eurogenetica.com

[1] SNP: Single Nucleotide Polymorphism (Polimorfismo a singolo nucleotide) - http://it.wikipedia.org/wiki/Polimorfismo_a_singolo_nucleotide
Il SNP può cambiare l’attività di un enzima: Il gene codifica l’enzima ed il codice risiede nella sequenza delle nucleotide...cambiando quella sequenza, anche se viene cambiato solo un singolo nucleotide, può cambiare un amino acido nella enzima che può cambiare l’attività. Un SNP del gene MTHFR, cambia un amino acido nel enzima creando un enzima con un attività molto più bassa che metabolizza l’acido folico molto più lentamente.