domenica 24 ottobre 2010

La celiachia si può prevenire?

Articolo molto interessante da Elena Meli nel Corriere della Sera

Secondo uno studio potrebbero essere utili un lungo periodo di allattamento al seno e l'introduzione graduale di piccole quantità di glutine nel primo anno di vita

MILANO - In attesa di una dieta libera da vincoli, la celiachia si può prevenire in chi è a rischio perché figlio o fratello di un celiaco? Forse sì, con un lungo periodo di allattamento al seno e l'introduzione graduale di piccole quantità di glutine nel primo anno di vita: lo sta verificando uno studio multicentrico europeo che in Italia coinvolge anche l'ELFID. «Abbiamo seguito 246 famiglie in cui c'era un membro affetto da celiachia e un nuovo nato - spiega Salvatore Auricchio -. Ai neonati positivi alle varianti genetiche che predispongono alla celiachia abbiamo somministrato, durante il quarto e quinto mese di vita, dosi minime di glutine o un placebo; dal sesto mese il glutine è stato introdotto gradualmente nella normale alimentazione dello svezzamento. Tutti hanno proseguito a lungo l'allattamento al seno. Stiamo iniziando adesso l'analisi dei dati raccolti»… L’articolo continua qui

Vedi anche:

lunedì 27 settembre 2010

Salute: celiachia, sbagliati 1/5 test

Si tratta di falsi positivi,per 2/3 patologia scoperta da adulti

(ANSA) - ROMA, 26 SET - Una diagnosi su 5 di celiachia e' sbagliata e i pazienti accertati sono ancora la punta dell'iceberg. Per Gino Roberto Corazza, direttore della Clinica Medica S.Matteo di Pavia, il 20% dei casi sono falsi positivi, cioe' persone non veramente malate, ma sottoposte a dieta senza glutine. In Italia i casi accertati sono 85mila, 'mentre - spiega il medico - sono 350mila quelli non ancora diagnosticati, e nei 3/4 dei casi la patologia si scopre in eta' adulta.

mercoledì 18 agosto 2010

Alla scoperta dei miei nutrigeni

Andate subito ad iscriverti su questo blog che dovreste seguire, come ho detto in precedenza

L’altro ieri il soggetto fu proprio NutriGENE, l’autore scrive della sua esperienza del test genetico e spiega molto bene il concetto e l’utilità – vai!

Capture

martedì 22 giugno 2010

my GenomiX - L‘arrivo di un nuovo blog Italiano sulla genetica e genomica

É arrivato recentemente un nuovo blog sulla genetica e genomica personale e la vera buona notizia è che è tutto Italiano!

Devi mettere questo sito nel tuo bookmarks: http://mygenomix.wordpress.com e fai anche la subscription via RSS. Alcuni articoli ricenti:

  1. Alla ricerca dell’ereditabilità mancante: dove sono i geni dell’altezza?
  2. Genomica made in China, il BGI cercherà il gene dell’intelligenza
  3. Samuel Eto’o e il DNA del campione
  4. La genetica della caffeina
  5. Nel DNA di Ozzy Osbourne il segreto dell’immortalità

Ma perche questa è buona notizia?

  1. Prima di tutto perche è molto ben fatto ed aggiornato con una frequenza che posso solo invidiare
  2. Perche purtroppo in Italia c’è ancora poco uso del blog e twitter per quanto riguarda la scienza e particolarmente la genetica personale

Dobbiamo fare meglio – è molto facile creare un blog (es. vai da blogspot oppure wordpress) ed il mondo dei blog ci fornisce tanto. Per la genetica personale, adesso che sa rapidamente uscendo dalla ricerca alle applicazioni nella clinica e molto importante che ci sia molto trasparenza – purtroppo in Italia le offerte commerciale per la maggiore parte sono altro che trasparente. La situazione nel mondo ormai Americano è molto diverso. Ci sono tante società che offrono servizi e prodotti della genetica personale, alcuni sono seri ed utile e molti sono più o meno “snake oil” – sicuramente da evitare (ho parlato in passato della trasparenza). Tramite il “blogosphere” il consumatore con qualche click puoi facilmente determinare qual è il buono, il brutto ed il cattivo.

Dovresti fare anche un conto su Twitter e segui le persone giuste per imparare molte cose. Mi devi credere, sono 30 anni che faccio la ricerca, da qualche mese uso Twitter, è stato un esperienza solo positiva ed utilissima. Ho seguito conferenze dal vivo, persone che seguo mi hanno segnalato lavori che non avrei trovato ed ho avuto la possibilità di avere una voce sul dibattito sulle regole della genetica, e tante altre cose.

Italia è pieno di ricercatori bravissimi – dovreste condividere il vostro lavoro con il resto del mondo.

Ecco alcuni blog e Twitter da seguire:

myGenomix:
http://mygenomix.wordpress.com
http://twitter.com/emmecola

Mario Pappagallo - Giornalista medico-scientifico del Corriere della Sera:
http://twitter.com/mariopaps
http://twitter.com/amarantoblook
http://www.google.com/profiles/amarantoblook (e-publishing)http://pappagallo.posterous.com

Il sottoscritto:
http://nutrigenetic.blogspot.com
http://eurogene.blogspot.com
http://twitter.com/eurogene
http://twitter.com/nutrigenetic (che devo usare più spesso…)

Se qualcuno leggendo questo post (sperando che ci sia almeno qualcuno…) ha qualche suggerimento per blog o twitter Italiano mettilo nel comments e farò un elenco - grazie

martedì 18 maggio 2010

Definizione Biologica della Sensibilità Chimica Multipla

La Sensibilità Chimica Multipla (MCS) presenta molte difficoltà per la terapia – questo lavoro pubblicato da un gruppo Italiano dal IDI di Roma apre una finestra sui meccanismi coinvolti. La speranza adesso è che con una combinazione della genetica e la biochimica possiamo avere armi più precisi per la diagnosi ed anche per monitorare l’effetto della terapia.

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Definizione Biologica della Sensibilità Chimica Multipla: dovuta a stato di ossido riduzione e a profilo di citochine e non da polimorfismi degli enzimi delle sostanze xenobiotiche

De Luca C, Scordo MG, Cesareo E, Pastore S, Mariani S, Maiani G, Stancato A, Loreti B, Valacchi G, Lubrano C, Raskovic D, De Padova L, Genovesi G, Korkina LG.
Laboratorio di Ingegneria Tissutale e Patofisiopatologia della Pelle, Istituto Dermatologia,
(IDI IRCCS), Roma, Italia

Pubblicato su Toxicol Appl Pharmacol. 2010 Apr 26

http://eutils.ncbi.nlm.nih.gov/entrez/eutils/elink.fcgi?dbfrom=pubmed&id=20430047&retmode=ref&cmd=prlinks
PMID: 20430047 [PubMed – come fornito dall’editore]

PREMESSA: la Sensibilità Chimica Multipla (MCS) è una sindrome poco definita dal punto di vista clinico e biologico associata all’ambiente. Sebbene siano state ipotizzate disfunzioni degli enzimi del metabolismo della Fase I e della Fase II della disintossicazione e un disequilibrio dei parametri riduttivi, non erano stati esaminati sistematicamente i parametri metabolici nei pazienti con MCS.

OBIETTIVI DELLO STUDIO: abbiamo ricercato markers genetici, immunologici e metabolici nella MCS.
METODI: Abbiamo eseguito la genotipizzazione dei pazienti con diagnosi di MCS, di sospetta MCS e italiani controlli per le varianti degli alleli delle isoforme del citocromo P450 (CYP2C9, CYP2C19, CYP2D6 e CYP3A5), della UDP-glucuronosil-trasferasi (UGT1A1), e del glutatione superossidismutasi (GSTP1, GSTM1, e GSTT1).
Sono stati analizzati nel sangue gli eritrociti degli acidi grassi della membrana, gli agenti antiossidanti (catalasi, superossidismutasi o SOD), gli enzimi del metabolismo del glutatione (GST, glutatione per ossidasi o Gpx), la chemiluminescenza del sangue intero, la capacità antiossidante totale, i levelli di nitriti/nitrati, glutatione, gli addotti HNE-proteine e un’ampio spettro di citochine.

RISULTATI: Le frequenze degli alleli e dei genotipi del CYP, UGT, GSTM, GSTT e del GSTP erano simili nei pazienti italiani di MCS e nella popolazione di controllo. Le attività degli eritrociti della catalasi e del GST erano più bassi, mentre quella del Gpx era più alta. Sia il glutatione ridotto che quello ossidato erano più bassi, mentre i nitriti/nitrati erano più alti nel gruppo dei pazienti con MCS. Il profilo degli acidi grassi nei pazienti con MCS tendeva verso i saturi e risultavano aumentate le citochine IFNgamma, IL-8, IL-10, MCP-1, PDGFbb e VEGF.
CONCLUSIONI: L’alterato quadro ossido riduttivo e delle citochine suggerisce una inibizione dell’espressione/attività del metabolismo e degli enzimi antiossidanti nei pazienti con MCS. I parametri metabolici che indicano un’accelerata ossidazione dei lipidi, un aumento della produzione di ossido nitrico e una carenza del glutatione insieme ad un aumento delle citochine infiammatorie nel sangue dovrebbero essere considerati come una definizione biologica e diagnostica della MCS

Copyright (c) 2010. Published by Elsevier Inc.

giovedì 8 aprile 2010

Is nutrition research any use without genetics & genomics?

Headlines all over the press today were “5 a day doesn’t prevent cancer”. So after all these years set in stone it’s all been a waste of time? Hard to tell really, the paper in question is all about cancer but as the Walter Willett editorial points out the same study group provided evidence that 5 a day reduces stroke and heart disease by 30%. But maybe that’s not right either, maybe Dr Aragon in Woody Allen’s Sleeper was right (this is from an interesting article about nutritional genomics by the way):

The study: Fruit and Vegetable Intake and Overall Cancer Risk in the European Prospective Investigation Into Cancer and Nutrition (EPIC) by Boffetta et al, published online in the Journal of the National Cancer Institute. It involved almost 500,000 people in a prospective study looking at nutrition and cancer between 1992-2000. Over 30,000 developed cancer but the detailed analysis revealed only a minor F&V protective effect of a few percent, if any at all.

Disappointing to say the least, an EPIC failure on the Cecil B. DeMille scale as far as cancer is concerned. So what about cancer, we assume it is preventable but is it (apart from smoking and sunlight)? Is there just so much endogenously generated DNA damage that we are really at the mercy of our genetics with no environmental components to modify for the majority of cancers? That’s hard to swallow, surely nutrition should modify cancer risk shouldn’t it? The most likely, or rather the more acceptable alternative is that this study is not really helpful either way. “Cancer” and “5 a day” – in between those inverted commas there are a whole host of biochemical processes and an even greater number of nutritional components.

  • What fruit, what veg?
  • Where from, how processed, cooked etc?
  • The subjects were aged between 25-70
  • Self-reported consumption data (which was just a single assessment of past 12 months using a food frequency questionnaire)
  • 10 different countries from Europe, north to south
  • Etc.

Doesn’t make for precise results. An ambitious, extremely expensive study but it’s really a rather blunt tool.

This is such a big problem with nutrition, it’s so hard to design studies with precise hypotheses to be able to pin down what exactly is going on. The most important aspect of any experiment is to control for all the variables – even a simple lab experiment needs about 10 control results per single test result.

Nowadays it seems that then most you can say about nutrition research is that it’s “mostly harmless”. It had its heyday in the first half of the last century – hunting down deficiencies in vitamins and minerals. Pure biochemistry with powerful results. It was important research, one of my biochem lecturers would recount his stories about the research he did on trying to create vitamin E deficiencies in WW2 conscientious objectors – the things they were able to get away with (but they failed to induce vit E deficiency, never found out what it’s for).

Today it’s not so powerful, it’s about optimising nutrition rather than curing malnutrition. A child with rickets is a tragedy, a 65 yr old with colon cancer is a pity. In fact it seems that most nutrition research is justified by the devastating effects of chronic disease on the economy rather than on reducing suffering, especially because there is a certain amount of freewill in lifestyle choice.

Will genetics and –omics help? They will certainly help to improve precision, stratifying those 500,000+ 25-70yr olds into different genetic pots. Perhaps it will also be better to accept that DNA damage is a better endpoint, in many ways, than “cancer”.

There are many studies where the genetics have been crucial in sorting out the associations and here are a few:

Palli et al, carcinogenesis – DNA damage was reduced by high fruit and veg diet but ONLY when the 600 subjects were grouped according to GSTM1+ or GSTM1null genotypes

Lampe et al showed that the effect of cruciferous on GST activity was only seen in GSTM1nulls

Brennan et al in the Lancet reported that a protective effect of cruciferous veg on lung cancer was only seen when stratyfying according to GSTM1 and GSTT1 genotype. A meta-analysis showed more or less the same thing

Cornelis et al in JAMA – coffee consumption had no effect on heart attack risk until the study population until CYP1A2 genotype was accounted for (CYP1A2 metabolises caffeine)

Li et al, in cancer research -  antioxidants had little effect on prostate cancer unless stratified according to SOD2 genotype.

And so on. Nutrigenomics will help by giving us tools to analyse & monitor better the biochemical pathways, to go beyond simple HDL and LDL measurements and to get away from using end points such as cancer, heart attack, stroke, etc.

Here is an optimistic quote – I hope it comes true (very last para of the article):

“What is certain is that nutritional genomics is coming fast. It will arrive piece by piece until it can be assembled into what will likely be the most powerful weapon in the arsenal of preventive medicine, a road map that can help us live longer and healthier lives”

Without genetics & nutrigenomics, epidemiological nutritional research will remain “mostly harmless”. Or to paraphrase a less amusing person maybe it’s like trying to govern the Italians - “not difficult, just a waste of time”

See also reports by American Institute for Cancer Research (AICR) and NHS Choices

lunedì 22 marzo 2010

La Genetica dell'intolleranza al Lattosio

Il lattosio è uno zucchero presente nel latte e ne costituisce circa il 2-8%. E’ un disaccaride costituito da glucosio e galattosio che è digerito, nell’intestino tenue, dall’enzima lattasi (β-D-galactosidasi) e trasformato in zuccheri semplici che possono essere assorbiti. La principale fonte naturale di lattosio è il latte, e la funzione principale del latte è di essere l'unica fonte di alimento per i mammiferi neonati. Nella maggior parte dei mammiferi la produzione dell’enzima lattasi diminuisce con l’età tanto che il latte non è più consumato – questo è il caso nella maggioranza degli uomini di tutto il mondo, ed è la ragione per la condizione nota come “intolleranza al lattosio”. Se il latte o altro prodotto lattiero-casearii continuano ad essere consumati dopo che la produzione dell’enzima è stato ridotto a livelli insufficienti. il lattosio, che non è assorbito, passa nel colon dove è metabolizzato dai batteri con il processo della fermentazione creando gas – una miscela di diossido di carbonio, idrogeno e metano. E’ questa produzione di gas che causa i sintomi addominali dell’intolleranza al lattosio: crampi addominali, gonfiore e flatulenza, e la presenza del lattosio aumenta anche la pressione osmotica del colon.

Certamente non tutte le persone sono incapaci di digerire il lattosio – il consumo di latte e prodotti lattiero-casearii è molto comune in Europa, specialmente nel Nord ed, infatti, gli Europei nordici possono consumare latte senza problemi, essi sono diventati tolleranti al lattosio. Recenti evidenze suggeriscono che circa 7500 anni fà una mutazione è avvenuta nell’Europa centrale in una zona di allevamento da latte e risulta nella produzione continua dell’enzima lattasi anche negli adulti. È probabile che la mutazione (-13910 C -> T nel gene LCT) sia stata selezionata dalla pressione selettiva perché il latte è un’importante fonte di calcio e vitamina D (soprattutto nelle regioni del nord dove il clima è più freddo e meno soleggiato del sud), come pure le proteine, i carboidrati e i cibi ricchi di grassi che sono disponibili tutto l’anno. Nel corso dei millenni, con la migrazione della popolazione, il fenotipo della “persistenza della lattasi” o “tolleranza al lattosio” si è diffuso ampiamente intorno al Nord Europa e più recentemente nel Nord America, Australia e Nuova Zelanda. La maggioranza della popolazione del mondo non porti la versione della persistenza della lattasi e sono omozigoti CC nella posizione -13910 (questa è nella regione regolatrice del gene, solo una copia dell’allele T è richiesta per la tolleranza al lattosio). Si stima che circa il 75% della popolazione del mondo è CC, ma questa percentuale si riduce drammaticamente, intorno al 5%, nel Nord Europa dove il 95% porta una o due copie della variante T (CT o TT). In Europa c’è un gradiente dal Sud al Nord, con la variante CC presente nel 70-80% della popolazione del sud.

Così, l’intolleranza al lattosio è molto comune in Italia, infatti, la maggior parte della popolazione porta il genotipo CC dell’intolleranza o “non persistenza della lattasi”, anche se il consumo dei prodotti lattiero-casearii è comune ed il lattosio è usato come ingrediente in molti altri alimenti non lattiero-casearii. C’è qualche variabilità nei livelli di lattasi che persiste negli individui CC ed i sintomi variano. La produzione dell’enzima inizia a diminuire dopo i 4-8 anni circa, e comunemente è ridotta a livelli di meno del 5% della produzione massima. Alcuni individui continuano a produrre più lattasi di altri e c’è anche l’evidenza che diversi batteri dell’intestino possano aiutare a digerire il lattosio piuttosto che fermentarlo, questo spiega perché alcuni individui possono tollerare di bere uno o due bicchieri di latte, mentre altri manifestano i sintomi con perfino piccole quantità. Ci sono altri fattori che influenzano la severità dei sintomi come la quantità degli alimenti privi di lattosio consumati contemporaneamente, la velocità del riempimento gastrico ed il tempo di transito nell’intestino tenue. Lo sviluppo dei sintomi dipende anche dal modo del consumo – se piccole quantità di lattosio sono consumate durante il giorno, può essere tollerato, ma se è consumato tutto in pochi minuti, dopo la capacità enzimatica sarà sovra-satura.

Il genotipo CC è la causa genetica e primaria dell’intolleranza al lattosio. Ci sono anche cause secondarie che possono provocare il fenomeno perfino ai portatori della variante T. Malattie o trattamenti che influenzano le cellule che producono la lattasi nell’intestino tenue possono ridurre la quantità della lattasi, creando un’intolleranza secondaria al lattosio. Esempi comprendono gastroenteriti, malattia celiaca (se non controllata), malattia di Crohn o chemioterapie. L’intolleranza al lattosio di solito termina quando il danno all’intestino è riparato ma è importante essere capaci di distinguere tra le cause primarie e secondarie perché le condizioni coinvolte nell’intolleranza al lattosio secondaria sono spesso serie e necessitano di essere diagnosticate.

L’intolleranza al lattosio non è una condizione molto seria (infatti, è la condizione normale nella maggior parte della popolazione del mondo), ma può essere molto spiacevole, se non trattata correttamente e causare conseguenze a lungo termine sulla salute. Gli individui intolleranti al lattosio consumeranno meno prodotti lattiero-casearii ed essi hanno pertanto bisogno, per assicurarsi adeguati livelli di calcio e vitamina D, di altre fonti alimentari per evitare le complicazioni a lungo termine dovute alla riduzione della densità minerale ossea e all'insorgere di osteoporosi per esempio. D'altra parte, mentre i sintomi immediati di ingestione di lattosio sono di breve durata, ci sono alcune evidenze che quando il consumo di lattosio è continuo può avere conseguenze a lungo termine. È possibile che la flora intestinale sia trasformata, che sia forse dannosa, e di recente sono emersi legami con il cancro del colon-retto (Raspinera 2005).

Per varie ragioni, pertanto, è utile sapere “lo status del lattosio" di una persona. Vi è la componente genetica - è il paziente geneticamente tollerante o intollerante al lattosio? Se il paziente è geneticamente tollerante, ma ha sintomi di cattiva digestione per il lattosio allora è probabile che vi sia una causa di fondo più grave dell’intolleranza al lattosio stesso. Se il paziente è geneticamente intollerante, quanto lattosio, se è il caso, può egli/ella davvero consumare senza problemi, e qual è il modo migliore di consumarlo? Per avere una valutazione completa dello stato del lattosio di un paziente, è necessario utilizzare le informazioni complementari in base ai risultati di test genetici, il test del respiro all' H2 ed una valutazione dei sintomi. Solo allora sarà possibile lavorare con il paziente per sviluppare un regime nutrizionale che assicuri un adeguato apporto di calcio e vitamina D, evitando conseguenze a breve e a lungo termine del sovra-consumo di lattosio.

Articoli rilevanti:

Mart Kull, Riina Kallikorm, Margus Lember, Impact of molecularly defined hypolactasia, self-perceived milk intolerance and milk consumption on bone mineral density in a population sample in Northern Europe Scandinavian Journal of Gastroenterology 2009 44:4, 415-421

Shrier I, Szilagyi A, Correa JA., Impact of lactose containing foods and the genetics of lactase on diseases: an analytical review of population data., Nutr Cancer. 2008;60(3):292-300.

P. Eadala, et al., Quantifying the 'Hidden' Lactose in Drugs Used for the Treatment of Gastrointestinal Conditions Medscape Cardiology, Posted: 07/01/2009; Alimentary Pharmacology & Therapeutics. 2009;29(6):677-687.

mercoledì 24 febbraio 2010

Nutrigenetica ed obesità – utilità clinica

Nell'edizione di Febbraio della rivista Airone, la Nutrigenetica era l'articolo di copertina – “La Dieta del Futuro”. Non c'e da sorprendersi del fatto che il giornalista fosse molto interessato all'uso  della genetica nelle diete e tale era proprio il titolo dell' articolo. Vi è il rischio che questo nuovo territorio della conoscenza scientifica venga usato per manipolare coloro che hanno un assoluto bisogno di perdere peso e che sono particolarmente vulnerabili alle lusinghe ed alle promesse eccessive e senza fondamento. Io ero l'intervistato principale ed ho posto particolare attenzione nel chiarire che cosa la nutrigenetica possa e non possa fare in questo senso, ma vorrei qui cercare di essere ancora più esaustivo. Vi sono dei prodotti di nutrigenetica sul mercato che collegano in modo più o meno dogmatico certi tipi di geni  a certi tipi di diete. Ad esempio, si dice : "Tu hai la version X del gene Y, e ciò significa che doveresti evitare questo tipo di cibi se vuoi perdere peso".

Uno degli obiettvi della Nutrigenetica e' senza dubbio quello di definire la dieta migliore per ciascuno:

1. Diete con pochi carboidrati versus diete con pochi grassi

2. Chi dovrebbe evitare rigorosamente ogni tipo di zuccheri o carboidrati raffinati.

3. Chi dovrebbe eliminare quasi tutti i grassi saturi

4. Chi non può perdere peso solo con l'esercizio

E così via. Io sono convinto, come ho detto nell' articolo, che nei prossimi anni  saremo in grado di usare la genetica per rispondere a simili quesiti e che siamo già in possesso di promettenti risultati per quanto riguarda alcuni geni. Purtroppo, vi è qui più che mai il rischio di false promesse e di proporre diete ad hoc che però non hanno nessuno o scarso fondamento.

È bene dunque spiegare a che punto siamo veramente  con la genetica nella sua applicazione alla perdita ed al controllo del peso. La Nutrigenetica deve essere pensata come una "Meta-dieta" che dovrebbe essere applicata ad ogni regime alimentare, sia per il semplice fine di potenziare gli effetti benefici del cibo sulla nostra salute, sia per un vera e propria dieta dimagrante.

In tal modo la Nutrigenetica può fornirci un ausilio prezioso per il controllo del peso, non nel senso di definire una dieta specifica, ma di assicurare a chi voglia perdere peso la giusta quantità di nutrienti  specifica per il suo particolare genotipo. Ciò è particolarmente importante nelle diete dimagranti in cui una bassa quantità di calorie è prescritta, poichè è essenziale che queste calorie contengano ogni giorno la quantità e qualità  dei nutrienti necessaria a ciascun individuo.

Alcuni anni fa io insieme ad alcuni colleghi abbiamo dato inizio ad uno studio clinico in cui la nutrigenetica è impiegata nelle diete dimagranti  e ciò rappresenta al momento l'unico studio ufficiale in tal senso ed è stato pubblicato dal Nutrition Journal 2007 (l'articolo è “open source” può essere letto dal pubblico interessato). Questo è al momento anche il più lungo studio ancora in corso:  infatti insieme ai miei colleghi ne pubblicheremo i dati per l'aggiornamento durante quest’anno. Ciò che posso dire riguardo a tali dati è che essi continuano ad essere promettenti.

In tale studio abbiamo impiegato la nutrigenetica in un'affermata e reputabile clinica in Atene, su  un gruppo di pazienti che aveva una storia di insuccessi nel tentativo di perdere peso. Si trattava di casi "difficili" ed alcuni di essi erano stati per lungo tempo obesi. Sono sati formati due gruppi:

a) un gruppo di controllo: l'impiego di procedure standard nella dieta dimagrante (basso indice glicemico, pochi grassi saturi, dieta mediterranea)

b) un gruppo a cui si è applicata la Nutrigenetica: impiego di dieta di base simile a quella del gruppo di controllo, eccetto che essa era stata modificata in base  ai risultati genetici degli individui di tale gruppo al fine di assicurare loro la giusta quantità di nutrienti attraverso consigli mirati e l'uso di supplementi.

Tutti i pazienti sono stati visitati regolarmente nella clinica; essi erano raggruppati in base all'età, al sesso, al peso iniziale, per assicurarsi che l'unica differenza tra i due gruppi fosse l'impiego della nutrigenetica nel modificare e customizzare la dieta.

I risultati sono stati molto interessanti per una serie di parametri. Una delle ragioni primarie per perdere peso è la riduzione del rischi per l'insorgere di certe malattie e migliorare la salute dell'organismo. Questi risultati si possono ottenere con una dieta e non richiede una ingente perdita di peso.

1) Pre-diabete: Molti individui di entrambi i gruppi presentavano alti livelli di glucosio nel plasma che li collocavano nel "prediabete" (>100mg/dlL. Dopo tre mesi di dieta il 25% di individui del gruppo di controllo ed il 57% di individui del gruppo nutrigenetico era tornato a valori normali. Dunque il gruppo nutrigenetico riportava risultati notevolmente migliori.

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I livelli di glucosio nel plasma a digiuno tra soggetti pre-diabetici come linea di base e a o dopo 3 mesi di seguito.

Un gruppo di pazienti sono stati classificati come pre-diabetici (glucosio nel sangue>100 mg/dL). Tra questi , il 57% (17/30) del gruppo con il test nutriigenetico ma soltanto il 25% (4/16) del gruppo di confronto senza test aveva livelli ridotti a<100 mg/dL dopo >3 mesi di terapia per perdere peso (rapporto di probabilità per la riduzione di glucosio<100 mg/dL dovuto alla dieta=1,98 (95%CI 1,01, 3,87, p<0,046)

2) Tutti gli individui nel gruppo NG che avevano livelli alti di omocisteina avevano riacquistato valori normali dope alcune settimane

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La riduzione di omocisteina in seguito ad una dieta per rimuovere il peso in un gruppo di pazienti Nutrigenetici, che aveva un livello iniziale di omocisteina >12 µmol/L. La riduzione di omocisteina in TUTTI i soggetti ad alto rischio riflette la conformità con la dieta.

3) La perdita di peso era pressoché uguale nei due gruppi lungo l'arco di 3 - 6 mesi

4) Il gruppo NG aveva molto più successo nella perdita di peso a lungo termine:

  • Dopo un anno 73% del gruppo nutrigenetico era riuscito a conservare la quantità di peso perso, contro il 32% del gruppo di controllo
  • Una probabilità 5.6 volte più alta nel gruppo nutrigenetico rispetto al gruppo normale di mantenere la perdita di peso al lungo termine

image

 

Lo studio dimostrava pertanto i benefici della nutrigenetica nella perdita del peso e concludeva che:

  • L'applicazione della nutrigenetica  per integrare una dieta di base apportava significativi miglioramenti nei valori dell'omocisteina,colesterolo LDL e di glucosio nel sangue
  • La dieta nutrigenetica migliorava il controllo del peso a lungo termine
  • I dati dimostrano che la nutrigenetica migliora la motivazione e la conformità dell’ individuo nel seguire una dieta sana.

Improved weight management using genetic information to personalize a calorie controlled diet. Ioannis Arkadianos, Ana M Valdes, Efstathios Marinos, Anna Florou, Rosalynn D Gill and Keith A Grimaldi Nutrition Journal 2007, 6:29  doi:10.1186/1475-2891-6-29

martedì 2 febbraio 2010

NutriGENE – Code of Practice

Questo Blog ha come oggetto la genetica dell' individuo ed in particolare la nutrigenetica, ovvero l'interazione tra i geni e la dieta. Dallo studio di questa interazione nasce NutriGENE, il sistema di testing genetico che noi mettiamo a disposizione del pubblico attraverso gli specialisti del settore della nutrizione e che non è in vendita diretta al pubblico.

Io sono il direttore scientifico di EUROGENE, un progetto finanziato dalla comunità Europea che si propone di promuovere l'uso della genetica individuale nel settore della nutrizione.

Lo scopo di questo blog è di tenere costantemente informati coloro che sono interessati a questo nuovo orizzonte della genetica e  coloro che già usano il metodo NutriGENE, sulle ricerche e sugli sviluppi più recenti in questo  campo. Attraverso il blog noi intendiamo offrire un servizio trasparente che fornisca tutta la conoscenza da noi progressivamente acquisita in merito ai geni che testiamo e la bibliografia scientifica che è alla base dei suggerimenti personalizzati che forniamo nel NutriGENE.

In assenza di una normativa che regoli e controlli tali servizi in Italia, noi siamo lieti di attenerci alle norme fissate dall' Industry Code of Practice della Commissione Britannica per la Genetica Umana (HGC). Essi coprono i vari aspetti del Testing, Marketing, Servizio clienti e qualità dell'informazione. Noi siamo fermamente convinti che coloro che usano il testing genetico, dallo specialista al paziente, debbano essere dettagliatamente informati sui vari aspetti del testing e che tali informazioni debbano essere a disposizione del pubblico online.

Il primo requisito che ogni fruitore del testing genetico deve richiedere, sia che si tratti del nostro servizio o di quello offerto da altre società, è piena chiarezza e trasparenza. Siamo inoltre convinti che tutte le società del settore debbano rispettare sia il settore che il consumatore attenendosi alle linee guida dell' HGC:
  • Ciò che viene dichiarato, sia che di natura pubblicitaria che tecnica, deve essere chiaro e trasparente
  • Le varianti genetiche testate devono essere clinicamente validate
  • Le dichiarazioni sui "rischi" devono usare un metodo validato ed essere trasparenti
  • Rispetto assoluto della "privacy" e nell'uso del DNAdel paziente
  • Informazioni dettagliate ed esaustive per consentire al paziente di comprendere  i risultati del test, inclusi l'accuratezza ed i limiti dello stesso
  • I consigli per l'acquisto di ulteriori prodotti come supplementi etc., alla luce dei risultati del test, devono essere pienamente supportati dall'evidenza scientifica
  • Per alcuni test dovrebbe rendersi necessario il consulto di personale medico
  • I test non devono essere venduti DTC ad adulti incapaci di fornire un consenso informato

martedì 26 gennaio 2010

La dieta mediterranea a basso IG (e MUFA alto) è preferibile alla dieta Med tradizionale

Vi sono numerosi studi recenti che mettono in evidenza i vantaggi delle diete con un basso indice glicemico. Il seguente articolo descrive uno studio effettuato confrontando una dieta mediterranea a basso contenuto di carboidrati detta dieta LCM (Low Carbohydrate Mediterranean) con una dieta mediterranea standard e una dieta dell' Associazione Diabetica Americana. Lo studio ha coinvolto 259 pazienti diabetici per un periodo di 12 mesi.

Le diete:

carboidrati
grassi
proteine
fibre
ADA
50-55 %
30 %
20 %
15 g
MED
50-55 %  (basso IG)
30 % (alto livello di grassi monoinsaturi)
15-20 %
30 g
LCM
35 %
(basso IG)

45 %(alto livello di grassi monoinsaturi)
15-20 %
30 g

I risultati migliori, in termini di perdita di peso, sono stati ottenuti con  il basso GI nella dieta Mediterranea (LCM):
LCM = 10.1 kg
MED = 7.4 kg
ADA = 7,7 kg

La riduzione dell' HbA1C (una misura di controllo del glucosio) è risultata maggiore con la dieta LCM:
LCM = - 2,0 %
MED =-1.8 %
ADA = 1,6 %

Siero TG:
LCM = - 1.52 mmol/l
TM = -1.46
ADA =  - 0.88

Infine, si è verificato un aumento dell' HDL solo con la dieta LCM (da 1, 08 a 1.21 mmol/l)


In generale, con le diete mediterranee si ottengono risultati migliori, ed in particolare ritengo che la dieta mediterranea a basso indice glicemico sia sicuramente da preferire. È molto importante notare che il contenuto di MUFA riscontrato con la dieta LCM è molto più elevato rispetto a quello osservato con  la dieta ADA o con la dieta MED tradizionale:


MUFA
PUFA
Grassi saturi
ADA
10 % di grassi
12 % di grassi
7 %
MED
10 % di grassi
12% di grassi
7 %
LCM
23 % di grassi
15 % di grassi
7 %

Complessivamente I vantaggi della dieta sembrano essere dovuti a un livello superiore di fibra (presenti in entrambe le diete MED) e ai livelli più alti di grassi insaturi, in particolare dei MUFA. In questo caso credo sia erroneo fare riferimento a tale dieta come ad  una dieta mediterranea "Low Carbohydrate",  credo invece, nonostante possa sembrare meno trendy, che sia più appropriato definirla  “dieta mediterranea ad alta MUFA”.

L'abstract è riportato in basso e l’articolo è disponibile sul sito http://bit.ly/5TAoD8

A low carbohydrate Mediterranean diet improves cardiovascular risk factors and diabetes control among overweight patients with type 2 diabetes mellitus. A one-year prospective randomized intervention study
A. Elhayany 1,2 , A. Lustman 2,3 , R. Abel 2 , J. Attal-Singer 4,5 , S. Vinker 2,3
1 Meir Hospital, Kfar Saba, Israel 44821 2 Department of Family Medicine, Central District Clalit Health Services, Rishon Le Zion, Israel 3 Department of Family Medicine, Tel Aviv University, Tel Aviv, Israel 45 The Sackler School of Medicine, Tel Aviv University, Tel Aviv, Israel Endocrinology Institute, Rabin Medical Center, Beilinson Campus, Petah Tikva Israel

KEYWORDS Diabetes mellitus • cardiovascular risk • Mediterranean diet • dietary intervention

ABSTRACT

Background: The appropriate dietary intervention for overweight persons with type 2 diabetes mellitus (DM2) is unclear. Trials comparing the effectiveness of diets are frequently limited by short follow-up times and high dropout rates.

Aim: We compared the effects of a low carbohydrate Mediterranean (LCM), a traditional Mediterranean (TM), and the 2003 American Diabetic Association (ADA) diet, on health parameters during a twelve-month period.

Methods: In this twelve-month trial, we randomly assigned 259 overweight diabetic patients (mean age 55 years, mean body mass index 31.4 kg/m2) to one of the three diets. The primary end-points were reduction of fasting plasma glucose, HbA1c, and triglyceride levels.

Results: 194/259 patients (74.9%) completed follow-up. After 12 months, the mean weight loss for all patients was 8.3kg: 7.7 kg for ADA, 7.4 kg for TM and 10.1 kg for LCM diets. The reduction in HbA1c was significantly greater in the LCM than in the ADA diet (-2.0%, and -1.6%, respectively p<0.022). HDL cholesterol increased (0.1 mmol/l±0.02) only on the LCM (p<0.002). The reduction in serum triglyceride was greater in the LCM (-1.3 mmol/l) and TM (-1.5 mmol/l) than in the ADA (-0.7 mmol/l), p = 0.001.

Conclusions: An intensive 12-month dietary intervention, in a community-based setting was effective in improving most modifiable cardiovascular risk factors in all the dietary groups. Only the LCM improved HDL levels and was superior to both the ADA and TM in improving glycemic control.

martedì 19 gennaio 2010

Effetti della dieta priva di Glutine sulla microflora

L'articolo riportato in basso descrive uno studio fatto su 10 persone sane sottoposte per un mese ad una dieta senza glutine. Pur tenendo in considerazione gli effetti, gia`noti sulla microflora, causati dalla variazione dell` alimentazione, lo studio ha evidenziato una riduzione dell`attivita` di batteri buoni quali il Bifidobacterium ed il Lactobacillus. Probabilmente questa riduzione di attivita` va attribuita alla forte variazione nell`apporto di vitamine, minerali e fibra dovuta al mancato apporto di glutine. Ovviamente questi risultati devono essere confermati, dato il numero esiguo di pazienti su cui si basano. Possono, tuttavia, essere presi in considerazione nel trattamento di pazienti celiaci o di quelli che devono semplicemente ridurre l`apporto di glutine.


Per la traduzione dal inglese in italiano puoi usare www.microsofttranslator.com


link per l'abstract
Br J Nutr. 2009 Oct;102(8):1154-60. Epub 2009 May 18.
Effects of a gluten-free diet on gut microbiota and immune function in healthy adult human subjects.
De Palma G, Nadal I, Collado MC, Sanz Y

Diet influences the composition of the gut microbiota and host's health, particularly in patients suffering from food-related diseases. Coeliac disease (CD) is a permanent intolerance to cereal gluten proteins and the only therapy for the patients is to adhere to a life-long gluten-free diet (GFD). In the present preliminary study, the effects of a GFD on the composition and immune function of the gut microbiota were analysed in ten healthy subjects (mean age 30.3 years) over 1 month. Faecal microbiota was analysed by fluorescence in situ hybridisation (FISH) and quantitative PCR (qPCR). The ability of faecal bacteria to stimulate cytokine production by peripheral blood mononuclear cells (PBMC) was determined by ELISA. No significant differences in dietary intake were found before and after the GFD except for reductions (P = 0.001) in polysaccharides. Bifidobacterium, Clostridium lituseburense and Faecalibacterium prausnitzii proportions decreased (P = 0.007, P = 0.031 and P = 0.009, respectively) as a result of the GFD analysed by FISH. Bifidobacterium, Lactobacillus and Bifidobacterium longum counts decreased (P = 0.020, P = 0.001 and P = 0.017, respectively), while Enterobacteriaceae and Escherichia coli counts increased (P = 0.005 and P = 0.003) after the GFD assessed by qPCR. TNF-alpha, interferon-gamma, IL-10 and IL-8 production by PBMC stimulated with faecal samples was also reduced (P = 0.021, P = 0.037, P = 0.002 and P = 0.007, respectively) after the diet. Therefore, the GFD led to reductions in beneficial gut bacteria populations and the ability of faecal samples to stimulate the host's immunity. Thus, the GFD may constitute an environmental variable to be considered in treated CD patients for its possible effects on gut health.

lunedì 18 gennaio 2010

Che cos’è?

È l’era della genetica applicata alla nutrizione. Ognuno di noi è unico e ciò è dovuto ai nostri geni. Le differenze da individuo a individuo si manifestano sia esteriormente nel nostro aspetto fisico, come il colore dei capelli e degli occhi, sia internamente, ad esempio nella diversa capacità di metabolizzare i nutrienti o eliminare le tossine. E in ciascun gene vi sono punti di variazione: l’insieme di queste piccole variazioni (mutazioni) definisce la nostra individualità. «Conoscendo meglio l’effetto che i nutrienti hanno sulla nostra particolare costituzione genetica, possiamo esercitare un controllo più effettivo sulla qualità e le nostre aspettative di vita», dice Pier Giuseppe Pelicci, direttore dell’oncologia sperimentale dello Ieo di Milano. Le aziende biotech rispondono mettendo a punto i primi test genetici per «guidare» la nostra dieta. Uno è quello proposto da Eurogene. Il direttore scientifico, Keith Grimaldi, spiega: «È stato selezionato un gruppo di geni che determinano il modo in cui un individuo reagisce a certi nutrienti essenziali». A ognuno il suo menù.
Corriere Della Sera, 23/07/09
La nutrigenetica è lo studio di come la variazione genetica nei geni individuali influenza la risposta di un individuo a particolari nutrienti e tossine nella dieta. Aspira ad usare l’informazione genotipica di un individuo per determinare le proprietà delle proteine codificate da certi geni e in questo senso l’effetto sul metabolismo, trasporto ed assorbimento dei nutrienti nella dieta e l’effetto sull’eliminazione delle tossine. Una variazione genetica, p. es. uno SNP[1], può influenzare l’attività di un enzima che può influenzare il metabolismo di un nutriente come l’acido folico. Questo è esattamente analogo alla farmacogenetica dove la variazione in un gene influenza la velocità del metabolismo del farmaco.

Noi abbiamo linee guida standard del mangiar sano che sono basate su molti anni di prove scientifiche accumulate principalmente da studi epidemiologici e di intervento (e NON prove cliniche). Queste linee guida sono state sviluppate per aiutare a mantenere uno stile di vita salutare più a lungo possibile. Lo scopo della nutrigenetica è di essere capace di modificare le linee guida alimentari in accordo al genotipo e fenotipo individuale – anche la nutrigenetica è basato su molti anni di prove scientifiche accumulate principalmente da studi epidemiologici e di intervento. Il livello di prove per la nutrigenetica è almeno all’altezza di quello usato per sviluppare e giustificare le linee guida standard.

Propone l’uso dell’informazione genetica sia per la guida delle scelte alimentari e sia per informare gli individui circa l’importanza del alimentazione, del cibo e del metabolismo. La nutrigenetica ci mette in grado di usare il genotipo ed il fenotipo per migliorare la nostra conoscenza di come il cibo lavora insieme con il corpo. L’aspetto informativo di un servizio nutrigenetico è estremamente importante – gli scienziati lo usano e imparano da esso così perché non potrebbe il pubblico? Purché l’informazione sia fornita in un modo serio, responsabile e corretto allora il risultato sarà benefico per il paziente/consumatore.

Per sapere di più – info@eurogenetica.com

[1] SNP: Single Nucleotide Polymorphism (Polimorfismo a singolo nucleotide) - http://it.wikipedia.org/wiki/Polimorfismo_a_singolo_nucleotide
Il SNP può cambiare l’attività di un enzima: Il gene codifica l’enzima ed il codice risiede nella sequenza delle nucleotide...cambiando quella sequenza, anche se viene cambiato solo un singolo nucleotide, può cambiare un amino acido nella enzima che può cambiare l’attività. Un SNP del gene MTHFR, cambia un amino acido nel enzima creando un enzima con un attività molto più bassa che metabolizza l’acido folico molto più lentamente.